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tra pulizia dei fiumi e colpe degli ambientalisti, il parere del’AI

Leggiamo da giorni commenti indignati a seguito del recente evento di piena del Baganza, che attribuiscono la colpa di tutto alla vegetazione nell’alveo e ai potentissimi ambientalisti che impediscono di “pulire” e “dragare” i fiumi per garantire la sicurezza delle popolazioni. Identica narrazione ha seguito la ben più tragica alluvione in Romagna dello scorso maggio, anche ad opera di figure influenti della politica o del giornalismo.

Ritenendo ormai inutile ribattere, vista l’evidente impossibilità di avere la meglio su una tesi così semplice e consolatoria, abbiamo deciso di compiere un piccolo esperimento cultural-tecnologico, rivolgendo al più noto servizio di Intelligenza Artificiale due semplici domande:

E’ vero che per prevenire le alluvioni bisogna eliminare la vegetazione nell’alveo dei fiumi?

E’ vero che sono gli ambientalisti che impediscono il taglio della vegetazione nell’alveo dei fiumi?

    Ecco le risposte ricevute, crediamo non ci sia nulla da aggiungere:

    1. Non è corretto affermare che eliminare completamente la vegetazione dall’alveo dei fiumi sia una soluzione efficace per prevenire le alluvioni. In realtà, la vegetazione svolge un ruolo importante nella gestione idrica naturale e nella prevenzione delle alluvioni. La vegetazione, come gli alberi, le piante acquatiche e le erbe, può contribuire a stabilizzare le rive dei fiumi e a ridurre l’erosione del suolo. Le radici delle piante possono agire come “ancoraggi” che trattenendo il suolo, aiutano a prevenire il lavaggio del terreno durante piogge intense. Inoltre, la vegetazione può rallentare il flusso dell’acqua e assorbire una parte dell’acqua piovana, contribuendo a ridurre il picco di piena durante eventi meteorologici estremi.
    2. Non è corretto generalizzare che siano gli ambientalisti ad impedire il taglio della vegetazione nell’alveo dei fiumi. La gestione della vegetazione nei fiumi è un argomento complesso che coinvolge diverse prospettive e considerazioni. Gli ambientalisti, così come gli esperti in idrologia e gestione delle risorse idriche, spesso promuovono un approccio bilanciato alla gestione della vegetazione nei fiumi. Cercano di garantire che vengano adottate pratiche sostenibili che tengano conto del ruolo importante che la vegetazione svolge nell’ecosistema fluviale.

    IL DECLINO DELLA BIODIVERSITÀ ANIMALE

    Stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti drammatici sotto svariati punti di vista. I drammi ambientali a cui stiamo assistendo stanno alterando in maniera così importante gli ecosistemi che gli scienziati hanno sentito la necessità di coniare un nuovo termine per identificare questo periodo geologico: antropocene, ovvero l’epoca dell’uomo. Nonostante il disaccordo su quando collocare il suo effettivo inizio, si può ragionevolemte supporre che esso sia iniziata a partire dalla metà del secolo XX, nel contesto del “The Great acceleration”. L’incremento demografico, il sovrasfruttamento delle risorse, l’aumento nelle concentrazioni di gas serra, l’incremento nell’utilizzo di pesticidi e di sostanze inquinanti e il consumo di acqua e suolo sono solo alcuni dei trend socio-ambientali cui stiamo assistendo e ognuno di essi contribuisce, fra le altre cose, al declino della biodiversità.

    Lo stato della biodiversità animale: il Living Planet Index (LPI) WWF del 2022
    Il Living Planet Index sviluppato dal WWF rappresenta una misura dello stato di salute della diversità biologica sulla Terra con un focus particolare sui vertebrati ed è calcolato basandosi sui trend di abbondanza relativa di numerose specie selvatiche.
    I dati di abbondanza relativa (ovvero la % con cui una specie contribuisce al totale degli individui di una comunità) sono importanti indicatori realtivamente ai cambiamenti di un dato ecosistema in un dato momento: i suoi cali ci dicono che un certo ecosistema è in sofferenza.
    Il grafico seguente mostra la variazione media dell’abbondanza relativa di 5.230 specie di vertebrati terrestri e acquatici monitorate a livello globale, a partire dal 1970, anno di pubblicazione del primo LPI. La linea bianca mostra i valori dell’indice: al 2018 il calo medio nell’abbondanza delle popolazioni è del 69%!

    Questo grafico però fornisce una visione generale a livello dell’intero pianeta. In realtà esistono differenze fra le varie parti della terra: il declino maggiore lo si osserva nelle aree dell’America latine e dei Caraibi, che hanno conosciuto un decremento molto rapido ed accentuato: in tali casi il valore LPI ha raggiunto il 94%.

    E gli insetti?
    Un gruppo di animali che spesso è ingiustamente trascurato (o odiato) dai più sono gli insetti. Come stanno i rappresentanti di questa immensa classe degli artropodi?

    Quest’immagine rappresenta il cosiddetto “aneddoto del parabrezza”, come definito da J. Acorn, secondo cui è facile notare che il numero degli insetti morti spiaccicati sui nostri parabrezza dopo aver guidato sia sensibilemnte minore rispetto a quanto era un tempo. Un’immagine forse poco “scientifica” ma sicuramente molto efficace come strumento comunicativo e che riassume lo stato di questa classe di animali.


    Un recente studio ha infatti stimato che ogni anno, le popolazioni di insetti a livello mondiale, diminuiscono di un valore compreso fa l’1% e il 2%. Una vera e propria “apocalisse”, come la definiscono gli autori, dal momento che gli insetti giocano un ruolo fondamentale negli equilibri di moltissimi ecosistemi, fra i quali quelli agrozootecnici che caratterizzano più del 55% del territorio della nostra regione.


    Le cause principali del loro declino, neanche a dirlo, rientrano nell’ H.I.P.P.O. descritto brevemente qui sopra: predita di habitat (H) e deforestazione, introduzione di specie esotiche invasive (I) e utilizzo indiscriminato di pesticidi (P).
    L’impatto più preoccupante riguarda in particolare tutti gli impollinatori, un vasto gruppo di insetti che permettono la fecondazione delle piante e di conseguenza anche la produzione del cibo.

    Ma chi sono gli impollinatori? E quanti sono?
    Nell’immaginario collettivo, quando si pensa agli impollinatori, il pensiero ricade immediatamente sulle api, in quanto ben note e presenti sul territorio italiano con 151 specie native. Ma nella realtà dei fatti sono ben 350.000 le specie che in qualche modo svolgono il ruolo di impollinatori, fra i quali ricordiamo i sirfidi, le farfalle, le vespe, le falene, alcuni coleotteri e anche alcuni pipistrelli! A questo elenco è doveroso anche aggiungere le zanzare: nonostante siano odiate e temute per le loro punture che possono anche trasmettere malattie infettive gravi, esse svolgono un ruolo importante come impollinatori e sono anche fonte di cibo per altri animali, come ragni e uccelli.


    L’Italia ha redatto due liste rosse (Red List della IUCN*) per i due gruppi maggiori: api e farfalle.
    ⦁ Lo stato delle farfalle. Riportiamo il testo della Rd List: “Delle 289 specie valutate, una è estinta nella regione in tempi recenti. Le specie minacciate di estinzione sono un totale di 18, pari al 6.3% delle specie valutate. La maggior parte delle popolazioni italiane sono stabili”.
    ⦁ Lo stato delle api. Riportiamo il testo della Red List: “Delle 151 specie valutate, 5 sono in pericolo critico di estinzione e non sono state ritrovate di recente, pertanto sono considerate potenzialmente estinte. Altre 2 specie sono in pericolo critico, 10 specie sono in pericolo, 4 specie sono vulnerabili (in totale sono quindi 21 le specie a rischio di estinzione) e altre 13 sono prossime ad uno stato di minaccia”.


    Inoltre il valore economico derivante dall’impollinazione operata da questi insetti si aggira sui 153 miliardi di euro all’anno, a livello mondiale!


    *La IUCN è l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, un’organizzazione non governativa internazionale che si prefigge di studiare la natura e la biodiversità per imparare a conoscerla e a proteggerla. Fra le altre cose stila le Liste Rosse (Red List), un elenco di specie (dai vertebrati agli insetti, dai coralli alla flora) che vengono valutate in base al loro stato di conservazione in estinte, in pericolo, vulnerabili e così via per permettere una pianificazione nella gestione della biodiversità. Ecco il link al sito: http://www.iucn.it/


    Prima di lasciarci, vi vogliamo suggerire due libri molto interessanti sul tema estinzioni e declino delle biodiversità:
    La sesta estinzione – una storia innaturale. Elisabeth Kolbert, 2016
    Terra silenziosa – come possiamo e perchè dobbiamo evitare che gli insetti scompaiano. Dave Goulson (il Saggiatore, 2022)

    Le nostre fonti:
    ⦁file:///C:/Users/lnv%20f0fw004jix/Desktop/argomenti%20rubrica%20settimanale/Screen%20e%20infografiche%20per%20post/WWF-LivingPlanetReport2022.pdf
    https://www.greenme.it/ambiente/natura/insetti-estinzione-massa/
    https://www.isprambiente.gov.it/it/archivio/notizie-e-novita-normative/notizie-ispra/2021/09/insetti-e-impollinatori-il-9-di-api-e-farfalle-a-rischio-estinzione
    https://futureearth.org/2015/01/16/the-great-acceleration/
    https://www.agrifoodtoday.it/ambiente-clima/api-morti-impollinazione.html
    https://www.practicepraxis.org/journal/an-unprecedented-attempt-to-delegate-extinction-to-the-chapters-of-history-a-review-of-joe-romans-listed-and-a-small-discussion-on-endangered-species
    https://www.wwf.it/specie-e-habitat/specie/impollinatori/#:~:text=Gli%20insetti%20impollinatori%20non%20sono,falene%2C%20alcuni%20coleotteri%20e%20vespe.
    https://greenreport.it/news/comunicazione/a-cosa-servono-le-zanzare/

    La transizione ecologica e i suoi costi

    La sopravvivenza delle specie presenti sulla Terra, uomo compreso, è fortemente dipendente dallo “stato di salute” della biodiversità. Questo termine apparentemente così semplice, nasconde un significato di vasta portata, poiché comprende non solo la ricchezza e la diversità delle specie viventi sul nostro pianeta – dal livello molecolare al livello di ecosistema – ma anche la diversità delle interazioni fra gli organismi e il loro ambiente di vita.

    Le stesse società umane si sono sviluppate e accresciute nel corso dei secoli grazie alla biodiversità e ai processi che si svolgono all’interno degli ecosistemi, tanto che il Millenium Ecosystem Assessment (MEA), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di studiare l’impatto della distruzione degli ecosistemi sul benessere umano, ha definito il concetto di serivizi ecosistemici, inteso come «i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano». Questi servizi possono essere suddivisi nelle categorie mostrate nel grafico seguente:

    La conoscenza di tutti questi fondamentali servizi resi alle nostre comunità, ha spinto i bioeconomisti a “monetizzare” la natura, ovvero assegnare ai vari servizi ecosistemici un valore economico. Questo passaggio, per quanto rischioso e difficile possa essere, può in realtà rappresentare uno strumento valido e utile per diffondere la conoscenza dell’importanza dei sistemi naturali anche fra i non addetti ai lavori, come le parti politiche, permettendo loro di proporre ed attuare investimenti “green”, finalizzati ad una transizione ecologica, oggi più che mai necessaria.

    Ovviamente questa transizione richiede sforzi economici importanti, costi destinati ad aumentare considerevolmente nei prossimi decenni se le opportune misure di mitigazione non saranno prontamente messe in atto.

    Per fare un esempio “locale” ed attuale di questi costi, l’Unione Europea ha stanziato ben 360 milioni di euro nei progetti per il raggiungimento della neutralità carbonica (entro il 2030) per ognuna delle 100 città europee selezionate a questo scopo, fra le quali la nostra, Parma.

    Spesso però si tende a pensare solamente a quanto ci costerà questa transizione ecologica quando in realtà si dovrebbe fare il ragionamento inverso, ovvero dovremmo chiederci: quali costi saremo costretti a sostenere se non attuassimo questa transizione?

    Vediamo qualche numero.

    Stime del Global Turning Point Report 2022 di Deloitte ci dicono che il costo del cambiamento ambientale potrebbe raggiungere i 178 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni se non saranno adottate misure di mitigazione e compensazione dei danni ambientali dati dall’impronta antropica sul pianeta.

    Studi dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ci dicono che sono circa 1,4 milioni le persone che muoiono ogni anno in Europa per cause dovute ai rischi ambientali, di cui ben la metà dovute all’inquinamento atmosferico. L’estate scorsa oltre 20.000 persone sono morte solamente per il caldo estremo.

    Il progetto europeo ESPON TITAN, conclusosi nel 2017, ci dice che negli ultimi vent’anni abbiamo assistito anche al susseguirsi di eventi estremi che aumentano di frequenza e di intensità generando danni stimati per un totale di 77 miliardi di euro; esempi recenti sono l’ alluvione in Romagna o le grandinate che hanno devastato il Veneto e la Lombardia. L’agenzia europea per l’ambiente invece ci informa che, considerando gli ultimi 40 anni, il costo dei danni ambientali sale addirittura a 446 miliardi di euro.

    Come è facile comprendere dalle stime riportate sopra, gli innumerevoli costi che i cambiamenti ambientali stanno portando non si limitano quindi alla sola sfera economica, ma coinvolgono direttamente anche la salute umana e la stabilità del territorio. E questi costi potrebbero conoscere rialzi significativi nel prossimo futuro, coinvolgendo di conseguenza le prossime generazioni.

    Nature Restoration Law: e adesso cosa si fa?
    La Nature Restoration Law approvata lo scorso 12 Luglio dalla Commissione Europea è un’ importante legge che si prefigge di arrestare ed invertire il trend di peggioramento dello stato degli ecosistemi europei: si stima infatti che ben l’80% degli habitat sul territorio comunitario siano in condizioni di declino. Nonostante le iniziali resistenze di alcune parti politiche, la legge è fortunatamente passata anche se con qualche taglio rispetto alla sua formulazione originaria.

    Questo provvedimento mira a:

    ⦁ ripristinare almeno il 20% del territorio terrestre e marino ed impedirne l’ulteriore deterioramento;
    ⦁ contribuire al raggiungimento degli obiettivi di mitigazione del riscaldamento climatico;
    ⦁ assicurare un recupero della biodiversità per rendere la natura resiliente
    ⦁ costruire un’Europa robusta, equa e sostenibile.

    Inoltre, si stima che per ogni singolo euro investito nella protezione della natura, potremmo ricevere un benefit di ritorno – in termini di servizi ecosistemici – che spazia dagli 8€ ai 38€.

    Ma concretamente quali misure sarebbe opportuno adottare? Abbiamo preparato un piccolo elenco, non esaustivo, delle azioni utili che sono state individuate da vari esperti, per attuare la Nature Rrestoration:

    Rinaturalizzazione dei corsi fluviali. Si potrebbero sfruttare le opere di ingegneria naturalistica per creare casse di espansione utili a mitigare gli eventuali danni derivanti dalle piene sempre più frequenti e devastanti oppure sfruttare le tecniche di biorimediazione ambientale, come la fitodepurazione per ripulire i fiumi dall’inquinamento;

    Connettività fra gli ecosistemi. Creare corridoi ecologici per preservare la biodiversità e mantenere l’integrità dei sistemi ambientali;

    Preservare le petland (ovvero le torbiere), ambienti fondamentali in quanto importanti serbatoi di carbonio (uno strato di 15cm di torbiera contiene più carbonio per ettaro rispetto a una foresta tropicale!);

    Inserimento di elementi naturali negli agroecosistemi, come semplicemente delle siepi attorno alle coltivazioni, in modo tale da favorire una maggior biodiversità, in particolare quella degli insetti impollinatori (ma non solo); calare o meglio, azzerare l’utilizzo di pesticidi di sintesi;

    Opere di greening urbano. Più verde in città porta notevoli vantaggi, come proteggerci dalle isole di calore negli spazi cittadini, rimuovere gli inquinanti ma anche tutelare la nostra salute psicofisica.

    Ognuna di queste azioni si tradurrà in protezione integrata della natura, con benefici diretti sulla biodiversità ma anche sul nostro benessere psicologico, fisico e sociale. E non solo: le alterazoni climatiche saranno mitigate, gli eventi alluvionali e le siccità contenute, la protezione del capitale naturale renderà gli ecosistemi più robusti e resilienti, quindi meno impattati e più produttivi, in un’ottica di sostenibilità.

    Riteniamo l’approvazione di questa legge un passo fondamentale nella difesa comunitaria della natura.

    Non sprechiamo questa opportunità.

    Le nostre fonti:

    ⦁https://environment.ec.europa.eu/topics/nature-and-biodiversity/nature-restoration-law_en https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-costi-che-pi-vanno-calcolati
    ⦁https://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/manuali-lineeguida/6985_MLG_642010.pdf https://www.gia.pr.it/download/25758/2016/07/Clima-Parma-pioniera.pdf
    ⦁https://www.wwf.it/pandanews/societa/politica/il-manifesto-per-la-nature-restoration-law/ https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=115289
    ⦁https://greenreport.it/news/economia-ecologica/clima-quanto-ci-costa-non-fare-la-transizione-energetica/
    ⦁https://www.huffingtonpost.it/dossier/terra/2023/07/13/news/piu_spazio_ai_fiumi_e_ai_campi_bio_cosi_il_restauro_della_natura_cambiera_il_paesaggio-12667173/
    ⦁http://www.lipu.it/news-natura/notizie/16-comunicati-stampa/1892-il-testo-del-manifesto-a-sostegno-della-nature-restoration-law
    ⦁https://www.greenplanner.it/2022/06/10/transizione-ecologica-costi/#:~:text=con%20benefici%20superiori-,Quanto%20costa%20la%20transizione,Tanto%2C%20ma%20con%20benefici%20superiori&text=Non%20possiamo%20permetterci%20ulteriori%20ritardi,dollari%20nei%20prossimi%20cinquant’anni